La pausa più lunga, la mia vita. Non so dirvi in quale punto io sia arrivata.
Ho solo messo la corona in questo momento preciso del mio vivere, attraverso la scrittura, affinché si oda meglio.
L'infanzia, felice: le corse in bici e i pomeriggi passati a pettinare le
bambole. Ma, già da allora, amavo starmene in un angolo a cantare, inventare, ridere con me stessa. Mi piaceva fingere di avere delle amiche sincere, ma, ahimè, furono assai poche e le conobbi troppo tardi. I miei studi, le ricerche servirono appena per capire meglio le dinamiche della vita e trattenere qualche nozione (a tratti) interessante. Fino a che non venni rapita dal desiderio di voler "raccogliere" anch'io Les Fleurs du Mal.
Da quel punto in poi la mia vita si aggrovigliò e lasciò ben poco spazio
alla risoluzione della stessa. La gioia che nasce dal dolore, la dualità, le antitesi, si addensano in una realtà priva di significato. L'unica dimensione che riesce a tenermi "in vita" è il silenzio, la solitudine, le pause dall'essere, che sono esse stesse parte fondamentale delle melodie dell'anima. La pausa, infatti, non è mancanza di suono, ma presenza di un suono muto. Così come è muta la poesia che viene letta, raccolta, ascoltata, nel silenzio delle proprie nudità. (dalle Note dell'Autrice)
Maria Grazia Panunzio (San Giovanni Rotondo, FG, 1988) ha conseguito una Laurea Magistrale in Traduzione e Interpretariato (inglese e spagnolo) e studia Canto Lirico presso il Conservatorio "Umberto Giordano" a Foggia. Ha già pubblicato, in poesia, Pozzi di banalità (Li Talorni, 2017)
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